Ringrazio il Signor Galoppini che ci ha inviato il suo articolo al fine che lo potessimo postare su questo blog
Enrico Galoppini è redattore di "Eurasia". Interprete e traduttore dall'Arabo, ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane. Collabora o ha collaborato a riviste e quotidiani tra cui "LiMes", "Imperi", "Levante", "La Porta d'Oriente", "Kervàn", "Africana", "Rinascita". Ha pubblicato due libri: Il Fascismo e l’Islàm (Parma 2001) e Islamofobia. Attori, tattiche, finalità (Parma 2008). Attualmente scrive sul portale Europeanphoenix.it ed insegna Lingua Araba presso vari enti ed associazioni.
Potete trovare altri scritti del signor Galoppini qui
http://europeanphoenix.it/ component/search/?searchword= galoppini&ordering=& searchphrase=all
Enrico Galoppini è redattore di "Eurasia". Interprete e traduttore dall'Arabo, ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane. Collabora o ha collaborato a riviste e quotidiani tra cui "LiMes", "Imperi", "Levante", "La Porta d'Oriente", "Kervàn", "Africana", "Rinascita". Ha pubblicato due libri: Il Fascismo e l’Islàm (Parma 2001) e Islamofobia. Attori, tattiche, finalità (Parma 2008). Attualmente scrive sul portale Europeanphoenix.it ed insegna Lingua Araba presso vari enti ed associazioni.
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di Enrico Galoppini
Notizia di pochi giorni
fa, data con gran pompa da tutti i media: “Italia: il debito pubblico
sfonda i 2.000 miliardi”. L'Ansa, nell'occhiello, aggiungeva: “Pesa per ben oltre 33mila euro su ogni cittadino, bebè compresi”.
Mi dispiace essere ripetitivo,
ma anche stavolta faccio appello a chi ha ancora mantenuto un residuo
di facoltà razionali (e d'amor patrio). È mai possibile ridurre a
barzelletta un tema così essenziale, coinvolgendo anche i neonati e,
specialmente, mettendola su un piano di “responsabilità individuale”?
Che cosa vuol dire,
altrimenti, “bebè compresi”, se non enfatizzare il fatto che “siamo
tutti sulla stessa barca” e che dobbiamo dunque “rimboccarci le
maniche” per “risolvere il problema”? Un “problema” che, oltretutto,
vien fatto percepire come un capriccio del fato, come una sciagura ineluttabile
capitataci tra capo e collo, e non come un esito perseguito metodicamente
da qualcheduno a suo proprio ed esclusivo beneficio. Eh sì, il “debito
pubblico” diventa come la casa che va a fuoco, e tutti sono tenuti
a gettare secchi d'acqua, senza porsi il dubbio su chi ha appiccato
l'incendio e perché. Una spada, una ghigliottina che pende sulla testa
di tutti quanti, “bebè compresi”, quindi bisogna prenderne atto
e frugarsi le proverbiali tasche. Con la nemmeno troppo velata insinuazione
che se questo “debito” c'è, la colpa è di tutti noi, nessuno escluso,
che viviamo “sopra le righe” e dobbiamo perciò “tirare la cinghia”.
Questo intendono farci pensare, 'sta genia di filibustieri.
Peccato che la “soluzione”,
per chi imposta la faccenda del “debito pubblico” in questo modo
truffaldino, sia regolarmente quella di dover versare sempre più soldi
nelle casse di uno Stato imbelle, gestito da camerieri dei banchieri
e burattini della grande finanza. Uno Stato in mano a personaggi che
sanno benissimo come funziona la “fabbrica del debito”, ma che manco
per sogno - visto che sono lautamente pagati per tacere e sviare l'attenzione
- si azzardano a metterne in discussione il meccanismo perverso e diabolico.
Anzi, sono messi lì apposta per dare veste “legale” al più grande
crimine della storia.
Al riguardo, la confusione
regna sovrana nella testa della maggioranza delle persone, cosicché
la truffa della “moneta-debito” prosegue indisturbata. Che ci si
può fare se sono stati raggirati con tutta una serie di falsi problemi:
fino a un po' di tempo fa c'erano le ideologie ed i “partiti ideologici”
ad infervorare il popolo-bue (per i più attempati, esistono ancora
i sindacati), e se da vent'anni a questa parte il “problema Berlusconi”
ha rappresentato un ottimo diversivo, con “la crisi”, l'unica preoccupazione
pare essere diventata “la casta” dei politici spendaccioni e dissoluti,
che avrebbero, in quanto specchio di un'Italia con le tasche bucate,
alimentato la “spirale del debito” e delle esangui casse dello Stato
(e di ogni altro ente pubblico).
In questo contesto deprimente,
l'unica stupidaggine che circola, a livello di massa, sul tema della
moneta, è la diatriba tra i favorevoli e i contrari all'Euro, come
se la questione si riducesse al “ritorno alla lira”, che furbescamente
ogni tanto qualche demagogo rispolvera dall'armamentario degli argomenti
per i gonzi.
Ma nessuno pone la questione
centrale della proprietà della moneta, perché è quella che permette
di stabilire cosa farne e a beneficio di chi.
Ora, nel mondo cosiddetto
“democratico”, la proprietà della moneta è in mani assolutamente
private. Private come possono essere le mie o le vostre, o quelle di
una qualsiasi S.p.A. Ma nell'informazione data in pasto al popolo non
lo spiegano (e nemmeno i sedicenti “esperti” che scrivono sulle
“pagine economiche”), non accennandovi nemmeno per sbaglio, privilegiando
invece le baruffe chiozzotte sulle “primarie” o il “ritorno di
Berlusconi”.
Eppure, se solo si pone
caso ai dettagli, anche solo lessicali, delle notizie che circolano
sugli stessi media ufficiali, ci si rende conto che c'è qualcosa che
non va. Il problema è però che la maggior parte delle persone non
presta attenzione ai particolari per risalire al generale, né è abituata
a collegare tutti i pezzi di un “discorso” che nelle loro menti
deve restare diviso in mille “argomenti” per essi senza alcuna interconnessione.
A questo ci abituano sin dall'infanzia... Per questo è così facile
per degli illusionisti da strapazzo confondere le idee in campagna elettorale
e per tutto il resto dell'anno con argomenti di nessuna importanza elevati
a livelli stratosferici per il solo fatto di parlarne di continuo.
Che cos'è, altrimenti,
una cosa completamente insensata come “il costo del denaro” di cui si sente continuamente parlare?
Sì, ogni tanto qualcuno si lamenta dei “tassi”
che la BCE applica all'Italia piuttosto che alla Germania, ma sono discorsi
fatti giusto per allungare il brodo e alimentare, già che ci siamo,
un “nazionalismo” innocuo ed un sentimento anti-tedesco che ha fatto
il suo tempo (e si faccia caso che nessuno s'azzarda mai a seminare
sentimenti anti-inglesi).
Ora, se il denaro è
un comodo strumento di pagamento (oltre che una misura del valore di
un bene o un servizio), come fa ad avere un “costo”??? Mica è una
merce! Non si vorrà credere che siamo giunti al punto da considerare
“normale” il fatto di “comprare i soldi”!?
È proprio così: gli
Stati comprano i soldi (di cui ovviamente hanno bisogno i loro cittadini,
le imprese private e gli enti pubblici), da organismi privatissimi che
sono le Banche centrali. Chi ha aderito all'euro adesso deve rivolgersi
alla Banca Centrale Europea (BCE, che tra l'altro non è nemmeno la
proprietaria dell'euro), che lo “presta” a fronte dell'emissione
di titoli del “debito pubblico”, gravati da un interesse e garantiti,
come ogni prestito che si 'rispetti', da beni (pubblici) concreti in
caso d'insolvenza (la fine che sta facendo la Grecia).
Pensate un po' che capolavoro:
i diciassette Stati dell'Unione europea che hanno aderito all'euro,
sono obbligati, se hanno bisogno di denaro, a prenderlo a prestito,
ad usura, dalla BCE. Ecco il perché di tutta quest'attesa salvifica
prima di ogni “asta” di titoli: c'è da capire se ce li prenderanno
e a quale interesse verranno piazzati presso gli “investitori istituzionali”.
Si noti, per inciso,
che è proprio l'applicazione d'un interesse a questa “moneta-debito”
prestata di proprietà dei banchieri privati a creare uno dei grandi
problemi monetari che da quando siamo nati ci viene sbattuto sui denti
a mo' di ricatto: l'inflazione. Poniamo infatti che io presti un libro
ad un amico. Quello, dopo un po', cosa farà: mi riporterà il medesimo
libro oppure un'enciclopedia? Evidentemente non può ridarmi quello
che non ha, né sarebbe sensato che indietro gli chiedessi due, tre
o più libri, ma coi soldi ha finito per funzionare diversamente perché
s'è instaurato un meccanismo perverso: l'usura. Per far fronte a quest'esosa
richiesta di soldi in più (gli interessi), ecco che un privato indebitato
alzerà i prezzi di beni o servizi, mentre uno Stato indebitato aumenterà
le tasse, inventandosene sempre di nuove. Ecco spiegato il “mistero”
dell'inflazione: questo denaro perde costantemente di valore perché
è gravato dagli interessi!
È o no una follia?
Uno Stato, che dovrebbe detenere la massima autorità, e tutelare i
propri cittadini (compresa la loro capacità economica), prende a prestito
il denaro che gli serve, e per far questo s'indebita con dei privati,
che dunque si dimostrano più potenti dello Stato stesso! Lo Stato è
ridotto per l'appunto come un poveraccio che per avere una casa si fa
un mutuo e finirà per pagarla il doppio del suo valore di mercato.
O come un malato terminale, che per sopravvivere si fa fare delle “iniezioni
di liquidità” (il linguaggio è sempre rivelatore).
Ma questo può avvenire
solo ad una condizione, ed è bene ripeterlo perché c'è in giro troppa
sopravvalutazione della cosiddetta “casta” dei politici: che a governare
gli Stati siano messi, da parte dei “signori del denaro”, delle
mezze calzette acquiescenti e sempre disponibili ad indebitare sempre
più i loro connazionali, “bebè compresi”.
Lo Stato, una volta
che ha rinunciato alla prerogativa di “battere moneta” (oggi ce
l'ha solo per quanto riguarda le monete metalliche), è perciò un puro
contenitore vuoto. Da riempire, però, con il gettito di tasse e tributi
che verranno richiesti con sempre maggiore insistenza ai cittadini,
sotto forme sempre più esose, vessatorie ed assurde, com'è il caso
dell'IMU, una tassa per poter stare in casa propria!
Si tratta, per chi ha
capito l'essenziale del meccanismo perverso della “moneta-debito”,
di un gorgo potenzialmente senza fondo, perché la spirale dell'indebitamento
attraverso l'emissione di “titoli del debito pubblico” gravati da
interesse - che finiscono per giunta in mano agli stessi “padroni
dell'euro”, i quali potranno rimetterli sui “mercati” per specularci
e far salire il tasso d'interesse (il famoso “spread” che sale è
legato a questo) -, questa spirale, dicevo, è di quelle al cui fondo
c'è solo la fagocitazione dei beni di tutti quanti non saranno in grado
di esaudire le richieste in denaro di uno Stato sempre più tirannico
perché con l'acqua alla gola, pressato dai “signori del denaro”
che esigono il pagamento degli interessi (il capitale è praticamente
inesigibile, ma la logica dello strozzino non prevede forse che lo strozzato
gli rimanga perennemente legato?).
Ma, peggio ancora, alla
fine c'è solo la schiavitù vera e propria, perché tutti (dall'imprenditore
all'operaio) sono costretti a lavorare come asini da soma per procurarsi
questi stramaledetti soldi che poi, tra tasse, imposte e “scadenze”
(si pensi alle “assicurazioni”, alle “revisioni” eccetera eccetera)
finiranno tutti di nuovo nelle mani dei loro autentici ed unici proprietari.
Quindi una cosa è da
capire bene: che i “signori del denaro” usano lo strumento del denaro
non per arricchirsi (questo è l'obiettivo della massa, dall'imprenditore
al mentecatto che compra i “gratta e vinci”), ma per dominare le
vite altrui derubando innanzitutto la cosa più preziosa di cui ciascuno
dispone: il tempo.
Come dicevo, non veniamo
mai abituati a mettere insieme i vari pezzi del discorso, sebbene la
scuola insista sull'importanza del “ragionare”, ma se tanto mi dà
tanto le famose “corvée” (le giornate di lavoro del servo della
gleba destinate al “signore”) non sono forse la stessa cosa delle
giornate che, conti alla mano, uno lavora per ridare tutto indietro
allo Stato? E che dire della “decima”, questo spauracchio che deve
terrorizzare gli ignari studenti, da abituare all'idea che la religione
ha sempre tiranneggiato la vita delle persone? Magari oggi che la potessimo
risolvere con un decimo!
Ma a questo punto arriva
l'obiezione che mira a mettere k.o. ogni argomentazione alternativa
al vigente andazzo: “Come si fa a garantire i “servizi pubblici”
se lo Stato non (tar)tassa i cittadini? Vogliamo rinunciare all'acqua
in casa, ai trasporti pubblici, all'illuminazione, alle scuole, alla
sanità pubblica eccetera?”.
Certamente no, ma tra
“municipalizzate” compartecipate da privati che ragionano in termini
di profitto (fino allo scandalo dei tentativi di privatizzare l'acqua!);
tasse che richiedono una copertura sempre più consistente del servizio
erogato (è di questi giorni la novità della Tares, al posto della
Tarsu, la quale oltre alla nettezza urbana coprirà anche le spese per
l'illuminazione pubblica e la manutenzione delle strade); un biglietto
di bus e metro carissimo (1,50 euro) che incoraggia l'uso dell'auto
per tragitti medio-brevi e spostamenti familiari; una scuola pubblica
sempre più “parcheggio”, destituita di autorevolezza, che infarcisce
i giovani di un conformismo atto a farli diventare da adulti delle brave
“pecore da tosare”; un'obiettiva insana abitudine a recarsi di continuo
dal dottore e in ospedale da parte degli anziani (che anziché essere
in pace con se stessi sono “attaccati” al mondo come solo la prospettiva
atea può far fare); tra tutte queste cose, scelte a titolo d'esempio,
ci rende conto che questi famosi “servizi” non sono poi così a
buon mercato, né convenienti, né di buon livello (tranne le classiche
eccezioni che confermano la regola), né utilizzati in maniera consapevole
e sensata, ed infine nemmeno tanto “pubblici”, visto che il “privato”
ci si è intrufolato sempre di più.
Allora, a fronte della
fatidica domanda di cui sopra, uno si chiede: ma come faceva lo stesso
Stato, ancora negli anni Settanta, a garantire servizi complessivamente
migliori e a costi nettamente inferiori per le tasche dei cittadini?
Si pensi solo alla nettezza urbana, con un personale (il famoso “spazzino”)
che aveva un lavoro vero, sicuro, ancorché modesto (ma tanto, tale
è rimasto); oppure agli autobus cittadini, dove esisteva la figura
del bigliettaio… Questo non per fare del “passatismo”, ma per
rispondere implicitamente a quelli che, con le bave alla bocca, imbeccati
dai soliti in malafede, ritengono che nel “pubblico” ci sia solo
da “tagliare” col machete.
Come faceva allora quello
stesso Stato (non stiamo parlando dell'Unione Sovietica o della Corea
del Nord!) a garantire tutto ciò, in un contesto che non prevedeva
affatto gli attuali esosi e soffocanti livelli di tassazione? Molto
semplicemente, era uno Stato che ancora aveva un controllo della politica
monetaria. Non era la situazione perfetta, ma molto molto meglio di
adesso, per tutti quanti, sia per il dipendente pubblico, che neppure
immaginava di dover diventare schiavo di qualche “cooperativa di servizi”,
sia per l'utente del servizio. Stiamo parlando, inoltre, di una situazione
reale, non di un'ipotesi, nella quale uno solo, il maschio, nella maggior
parte dei casi mandava avanti la baracca più che dignitosamente. Ciascuno
tragga le sue conclusioni.
Ora, di fronte ad uno
Stato che s'indebita sempre più (il “debito pubblico” è ovviamente
salito anche con questo “governo tecnico”), con la moneta saldamente
in mano a privati che lo strangolano volutamente, la soluzione è d'una
semplicità disarmante.
Basta rifiutarsi di
“pagare il debito” (dove sono finiti i cantanti “alternativi”
che indicavano questa strada ai “paesi del Terzo mondo”?) e contemporaneamente
riprendere il controllo dello strumento monetario. In fondo non ci vuole
molto a mettere su una tipografia, no? Perché è quello che è, a ben
vedere, la BCE e qualsiasi altra “banca centrale” che fa pagare
a chi s'indebita (gli Stati) il valore nominale scritto sulla banconota
mentre i costi di stampa sono nell'ordine di qualche centesimo!
Avete capito bene: la
Banca centrale - che ora è la superbanca centrale europea, sommatoria
delle finte banche “nazionali”in realtà private - stampa le banconote
e le presta agli Stati al valore nominale: 50 euro costano allo Stato
50 euro più gli interessi, eppure quei 50 euro hanno solo un costo
tipografico! Un'altra truffa nella truffa.
Oltretutto, si rifletta
su una cosa comica ma che in realtà è tragica: che differenza c'è
tra i falsari dei film alla Totò e le banche di emissione? Nessuna,
perché entrambi stampano soldi come una tipografia: anzi, allo Stato,
se proprio non ci tiene a riappropriarsi della moneta, costerebbe certamente
meno comprare i soldi dai falsari a Napoli, che magari 50 euro te li
vendono a 10 facendoci comunque un superguadagno perché la stampa di
una banconota costerà qualche centesimo di euro!
Non si capisce davvero
razionalmente quale convenienza vi sia nel proseguire su questa strada,
se non rammentandosi sempre che nelle posizioni che contano hanno piazzato
esclusivamente uomini di loro fiducia. Gli Stati non sono interessati
a riappropriarsi della proprietà della moneta, del diritto di “battere
moneta” che da sempre è una delle prerogative dell'autorità (assieme
a quello del “monopolio della forza”), perché sono occupati, in
tutti i loro gangli, da fedelissimi del sistema bancario-finanziario,
e tutti fanno “la bella vita” votando le leggi che danno “legittimità”
a questo crimine che non ha pari nella storia dell'umanità.
A ripristinare una normalità
ci vorrebbe solo un impavido manipolo di patrioti - o meglio ancora
un santo - che, azzerando tutte queste “leggi”, riportassero la
banca, finalmente nazionale per davvero, a svolgere un ruolo di sostegno
all'attività politica dello Stato. Lo Stato, perciò, dovrebbe emettere
per proprio conto, senza rivolgersi a nessun privato camuffato da “banca
centrale”, il denaro di cui ha bisogno per la propria vita economica.
Ma nel vigente regime,
l'indebitamento è strutturale, non una “stortura”. Gli Stati, e
perciò le nazioni, le collettività, s'indebitano per il semplice fatto
che non detengono più la proprietà della moneta.
La situazione appena
delineata, già allucinante, diventa follia allo stato puro quando si
sente aleggiare la minaccia del “fallimento dell'Italia”, e per
evitarlo si propone di “salvare le banche”! Punto primo, uno Stato,
se con ciò s'intende correttamente una collettività nazionale che
gli preesiste, non può fallire, eppure la cosa tragica è che fior
fior di “esperti” assicurano il contrario. A questa gentaglia senza
coscienza andrebbe posta una semplice domanda: “Secondo lei, la gallina
smette di fare le uova se - accettando questa demenziale prospettiva
- 'l'Italia fallisce'?”. “E sempre nella medesima demenziale prospettiva,
l'uovo non troverebbe nessuno che se lo mangia e sia disposto perciò
a comprarlo?”. I soliti “esperti” hanno pronta la risposta: “Eh,
ma se non ci sono i soldi per comprare l'uovo…”. Ma brutti delinquenti,
allora ditelo che il problema è l'indisponibilità della moneta, dello
strumento di pagamento!
E ci venite pure a raccontare
- sempre col ricatto della volatilizzazione dei nostri risparmi - che
dovremo dissanguarci per “salvare le banche”? Che sono aziende private,
quindi soggette a fallimento come tutte le altre, ma evidentemente dall'orecchio
del “libero mercato”, adorato quando fa comodo, non ci sentono proprio.
Mettiamocelo bene in
testa, dal momento che ci si avvicina alle prossime elezioni, in un
crescendo di promesse da marinaio, frasi ad effetto e cortine fumogene:
uno Stato governato secondo sani principi è proprietario, per conto
dei cittadini, della moneta nazionale, e le banche dovrebbero tornare
fondamentalmente a svolgere la custodia di denaro ed altri valori, percependo
per questo un compenso. Mentre adesso prestano ad interesse, sfruttando
il fatto che solo una piccola parte dei depositi viene ritirata dai
correntisti: se solo fossimo un minimo svegli pretenderemmo la corresponsione
d'un interesse (che le banche non danno più), perché i soldi giacenti
sui nostri conti vengono prestati di continuo a tassi usurari, magari
proprio a noi stessi!
Tutto ciò è profondamente
immorale ed ingiusto. Ma ci siamo mai chiesti perché tutte le religioni
postulano l'illegalità d'ogni interesse? Perché stabiliscono che è
proibito fare soldi dai soldi? No, meglio impressionare gli ignari studenti
con la “decima” percepita dal clero: la scuola, si sa, dev'essere
“progressista”!
Eppure, l'unica tassa
che avrebbe senso sarebbe una tassa di natura religiosa, come l'islamica zakât,
che trovando la sua ragion d'essere in una “purificazione” della
propria ricchezza, ci riporta al piano che è più consono ad un ordinamento
sano e a misura d'uomo, d'un uomo che intende elevarsi e non stare sulla
terra a fare la pelle al prossimo. La tassa, dunque, come abitudine
al distacco dal superfluo, incoraggiando la circolazione del denaro
perché in questo modo tutti ne beneficiano. La zakât, infatti, colpisce i capitali fermi da un anno,
e l'etimologia, collegata al verbo zakkâ (“purificare”), ci ricorda la sua natura
“edificante”.
Guarda
caso, l'attuale “crisi” è “crisi di liquidità”: lo sa bene
chi ha in mano il 'rubinetto del denaro'. Per qualche anno apre il 'rubinetto'
(erogazione di prestiti con estrema facilità, e tutti si comprano di
tutto, pure esagerando), poi comincia a chiuderlo, e in un regime di
esosa tassazione, cronica inflazione e disoccupazione crescente (gli
stessi piccoli imprenditori, con l'acqua alla gola, devono licenziare),
esplode il numero degli insolventi, di quelli che non ce la fanno a
stare al passo, col risultato che mentre li han fatti trottare una vita
per pagare rate ed interessi, beni reali (comprati “a rate”) finiscono
fagocitati dai “prestatori di denaro”. Il gorgo di cui parlavo,
alla cui fine c'è la schiavitù pura e semplice, perché cosa resterà
a chi ha perso tutto se non prendere atto che la sua vita è nelle mani
di costoro?
Il“debito” è poi
già una cosa negativa di per sé, anche se non volessimo muovere da
una prospettiva religiosa. Ma fanno di tutto per assuefarci ad una sua
“normalità”. Dai “debiti scolastici” che abituano lo studente
all'andazzo che lo attenderà da grande, a queste uscite senza senso
secondo le quali un “bebè” verrebbe al mondo con un'ipoteca sulla
sua piccola testolina di circa 33.000 euro.
Non so se si rendono
conto dello schifo che fanno certe affermazioni, anche per il solo fatto
di averle pronunciate. Come si fa a pensare ad un neonato, ad una creatura
così pura e senza peccato, e collegarlo all'idea di un “debito”?
C'è senza'altro della perfidia e della malvagità, dal chiaro marchio
di fabbrica, dietro a quelle che non vanno valutate come innocue battute.
Questa storia dei 33.000
euro di “debito” sulla crapa di ciascuno di noi ricorda tanto quella
del “pollo a testa”. Ma come esistono quelli che di polli ne mangiano
a sazietà, con l'ovvia controparte di chi dovrà accontentarsi del
'pollo' della statistica, c'è chi sulla sua coscienza ha tutta l'esclusiva
responsabilità dei 2.000 e passa miliardi di cosiddetto “debito pubblico”.
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